Ali e Nino by Kurban Said

autore:Kurban Said [Said, Kurban]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: 2011/2013
ISBN: 9788897949909
editore: Imprimatur
pubblicato: 2013-11-20T23:00:00+00:00

Tiflis somigliava a una foresta vergine; eppure ogni albero portava un nome particolare ed era uno zio, un cugino, una zia o una comare. Non era facile raccapezzarsi in quella foresta. Nomi tintinnavano nell’aria e suonavano come antiche lame d’acciaio: Orbeliani, Čavčavadze, Cereteli, Amilakhvari, Abashidze. Alla periferia della città, nel giardino Didube, la famiglia Orbeliani organizzò una festa in onore del nuovo cugino. La zurna georgiana intonò la Mravaljamer, il canto di guerra della regione di Kakheti, e il selvaggio Lelo della Khevsureti. Un cugino della città di Kutaisi, che si chiamava Abashidze, cantò Mgali Delia, il canto della tempesta delle montagne dell’Imereti. Uno zio danzò il davluri e un anziano dalla barba bianca balzò su un panno che ricopriva il prato verde per assumere una posa immobile, nel pathos della bukna. La festa durò tutta la notte. Quando il sole sorse pian piano dietro le montagne, i musicanti attaccarono con l’inno Sorgi, regina Tamara, la Georgia ti piange. Io sedevo immobile al tavolo accanto a Nino. All’improvviso scintillarono davanti a noi spade e pugnali, la danza dei coltelli georgiana; eseguita da una schiera di cugini somigliava a uno spettacolo teatrale, irreale e remota. Mi misi ad ascoltare la conversazione dei vicini; probabilmente così dialogavano i loro antenati secoli fa: «Sotto il regno di Saakadze uno Cereteli difese Tiflis da Gengis Khan».

«Lei sa bene che noi Čavčavadze siamo più antichi dei Bagratidi, la dinastia reale».

«Il primo Orbeliani? Venne dalla Cina, tremila anni fa. Era uno dei figli dell’imperatore. Molti Orbeliani hanno ancora oggi gli occhi a mandorla».

Intimidito mi guardai attorno. Che cosa erano in confronto a loro quei pochi Shirvanshir che mi avevano preceduto nel viaggio per l’Eternità? Mi consolò Nino: «Non ti affliggere, Ali Khan. Naturalmente i miei cugini hanno origini molto nobili, ma tu pensa un po: dov’erano i loro antenati quando il tuo avo conquistava Tiflis?»

Non risposi nulla, però mi sentii molto fiero: anche se in mezzo alla propria famiglia, Nino si sentiva già moglie di uno Shirvanshir. La guardai con gratitudine.

Il vino rosso di Kakheti era come fuoco liquido. Quando esitando alzai il bicchiere per fare un brindisi in onore del casato Orbeliani, una vecchia si chinò verso di me e disse: «Beva tranquillo, Ali Khan. Nel vino c’è Dio. Solo pochi lo sanno. Ogni altra ebbrezza è opera del diavolo».

Era ormai giorno fatto quando tornammo in città. Volevo andare nel mio albergo, ma un cugino o uno zio mi trattenne. «Ieri sera lei è stato ospite della famiglia Orbeliani, ora è mio ospite. Faremo colazione a Purgvino. Per pranzo invece riceveremo i nostri amici».

Ero prigioniero della nobiltà georgiana. Andò avanti così per una settimana: si continuavano a bere vini di Alazani e Kakheti, a mangiare montone arrosto e formaggio Motali. I cugini si davano il cambio come soldati sul fronte dell’ospitalità georgiana. Chi non si alternava, eravamo Nino e io. Ammiravo la sua resistenza; alla fine della settimana era ancora fresca come la prima rugiada primaverile. I suoi occhi sorridevano e le sue labbra non si stancavano di parlare con cugini e zie.

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